FIRENZE – Viaggio al Salviatino, quartiere residenziale di Firenze, per cercare di decifrare un rebus dello sport italiano. La risposta è all’interno di una elegante palazzina che fu il set della clinica del Sassaroli in Amici miei. Al primo piano, apre la porta Larissa Iapichino, insieme al padre e allenatore Gianni. Le finestre sulle colline di Fiesole, alle pareti le chitarre elettriche e a terra la sacca da golf che raccontano parti della vita dell’ex primatista italiano dell’asta ed ex marito di Fiona May. È tra queste mura che si può capire se è offuscato uno dei gioielli dell’atletica azzurra, famosa sin da quando era bambina, acclamata prima di entrare in questa strana fase in cui alcuni temono un’involuzione. Concisa col passaggio di allenatore (da Cecconi al padre), rivelata forse dalla mancata qualificazione alla finale mondiale di Eugene.
“Sono molto serena” dice Larissa, “invidio chi ha un percorso netto nello sport, senza attraversare periodi di difficoltà. Da quando mi sono fatta male prima delle Olimpiadi ho vissuto una fortissima crescita. Sono molto meno ingenua. Ho capito che la mia passione ora è un lavoro, mentre prima era un gioco, anche quando ho stabilito il record del mondo juniores e italiano indoor con 6,91, a pari merito con mamma”. La capigliatura afro che a un certo punto raccoglie per il caldo, i mini jeans, una Tshirt bianca, il sorriso smagliante mentre parla accanto al fidanzato Vittorio Bartoli, ala grande dell’Under 20 di basket reduce dall’Europeo in Montenegro. Minuta, Larissa, vicino al ragazzo, alto due metri e due, e al monumentale padre. Minuta, ma magnetica e determinata. “Tosto a vent’anni mettere insieme tanti aspetti, anche se sto trovando la quadra. L’impatto è stato scioccante, sapevo che c’era uno scalino davanti a me, non sapevo quanto fosse alto. Ma ci sono fuoriclasse come Ivana Spanovic-Vuleta, la mia mentore, che mi incoraggiano e trovano assolutamente normale quel che sta succedendo”.
Già, cosa sta succedendo? Gianni Iapichino non ci sta a passare come quello che frena la crescita della figlia. “Larissa è migliorata moltissimo, lo dicono i numeri, non quelli della gara, ma della velocità, forza esplosiva, forza dinamica, reattività, tutto quel che vedi in allenamento. Sono molto contento della velocità di entrata, che è la cosa che mi interessa di più visto che il nostro obiettivo primario è Parigi 2024. Stefano Tilli mi ha scritto per dirmi che ha vista molta velocità in pedana. Lei è migliorata senza aumentare il carico di lavoro in maniera eccessiva, perché avevo paura del sovraccarico. Dicono che ho preso Larissa che saltava 6,91, ma non è vero. Faceva 6,42 prima di Tokyo, non saltava più come prima, qualcosa non aveva funzionato. Era in una condizione pietosa, e infatti si è subito infortunata e ha perso le Olimpiadi”. Larissa conferma: “Avevo male alle ginocchia, dolori, mi sentivo come una vecchia. Adesso sto bene”. Il padre non ci sta nemmeno a bollare come un fallimento la mancata qualificazione alla finale mondiale per 4 centimetri: “Nel secondo salto, un nullo millimetrico, ha fatto una rincorsa bellissima, ed è atterrata attorno ai 6,85. All’ultimo tentativo si è trovata a vent’anni, al primo mondiale, con due nulli e un vento contrario che creava mulinelli. Nonostante questo ha fatto 6,60, unica col vento contro quando altre lo avevano avuto anche 4,7 metri a favore. Lì si è visto il carattere. Ora lei sa che può affrontare le prossime gare senza timore reverenziale, a partire dai prossimi Europei”.
I precedenti della madre aiutano a curare le ferite: eliminata anche lei, ragazzina, in qualificazione a due mondiali e un’Olimpiade tra il ’91 e il ’93. Fiona May ha ricevuto i video di Eugene dall’ex marito, ma non ha risposto. “Lei preferisce fare la mamma che il tecnico” racconta Larissa, “per me è un punto di riferimento, una delle più grandi saltatrici di sempre. Un impulso per capire che se si è giovani non tutto può filare liscio subito”. Una famiglia immensa e impegnativa, gli Iapichino-May, e il mondo dell’atletica si interroga sull’ennesimo rapporto genitore-figlio che in passato ha creato magie e disastri. “Non rinuncerei mai a lui come allenatore” è dolce e definitiva Larissa. “Siamo due persone molto brave a scindere le due sfere, a casa siamo padre e figlia, in campo allenatore e atleta. Siamo più di quanti si possa immaginare nell’atletica, sembriamo mosche bianche ma siamo tantissimi. I Duplantis, i Pichardo, i Sagnia, non solo i Tamberi e i Tortu. L’affetto paterno e filiale, rispetto al semplice rapporto sportivo, è un valore aggiunto. Faccio un esempio: un maschio non ha la settimana del ciclo, mentre io in quella settimana sono nervosissima e potrei attaccare chiunque, per papà è difficile gestirmi in allenamento, vede questa che dal nulla si è svegliata male e non accetta niente. Il lato positivo è che ho accanto una persona che mi mette in riga, essendo un’atleta in cresciuta ho bisogno di qualcuno che mi metta dei paletti, non di un esterno che mi conceda troppa libertà”. Gianni: “Infatti qualche volta le faccio presente che dobbiamo rispettare i ruoli”.
Alla famiglia Iapichino hanno dato fastidio le allusioni su una sovraesposizione di Larissa per motivi commerciali. Il pool degli sponsor è limitato a Red Bull, Puma e Galileo, e in realtà è molto più lunga la lista dei marchi rifiutati secondo una strategia che preferisce qualità a quantità. I brand mondiali, l’ombra della madre nella stessa gara, la richiesta continua di ripetere il 6,91. Larissa vive da anni in una situazione da star. “Ho ancora vent’anni, ma a volte atleticamente mi dimentico di averli per tutto quello che è stato creato, non da mio padre, mia madre, la mia manager madre, ma all’esterno. Ho una vita davanti, ma sembra quasi che non abbia diritto di avere vent’anni, di fare le mie esperienze, devo fare tutto subito. Non possiamo essere tutti come Duplantis”.